Un voto locale ma non troppo

Left, 25 maggio 2007

 

Nelle città che vanno al voto ci sono le liste dell’Ulivo. Ma andiamoci piano a considerarla una prova per il partito che ancora non c’è. Ce lo spiega Antonello Soro, coordinatore della Margherita e uno dei quarantacinque sceltissimi componenti della costituente per il Pd. Il partito che nascerà il 14 ottobre, cioè, spiega, «fra pochissimo tempo. Dobbiamo raccontare in ogni città italiana il progetto e gli orientamenti che in questi giorni stanno emergendo, da quando è scattata la corse più veloce, da quando abbiamo deciso che gli italiani che vanno a votare sono soci fondativi del partito e che l’attività dei vecchi partiti il 14 ottobre finisce».

Non sarà certo un test elettorale per il Partito democratico. Ma 12 milioni di votanti possono dare qualche indicazione?
Le amministrative non sono mai semplicemente il rinnovo di un consiglio comunale. Sono comunque l’espressione di un orientamento, che pur avendo prevalente riferimento alla città esprime i disagi, le insoddisfazioni degli elettori. Però il voto va distinto dal Pd. Il nasce il 14 ottobre e nessun risultato potrà condizionare il percorso che abbiamo scelto.

Qualsiasi cosa succeda?
Naturalmente ne terremo conto. Sappiamo che dopo il primo anno di governo esiste negli elettori una certa insoddisfazione. Le aspettive del cambio di governo sono sempre molto ampie ed è chiaro che in un anno non si riesce a soddisfarle tutte. Mettiamoci anche che questo governo ha affrontato con decisione i nodi più fastidiosi, come quello di rimettere in ordine i conti pubblici. Però io sono ottimista. Sono convinto che comunque molti nostri sindaci bravi saranno premiati, e anche in condizioni difficili sono riusciti a mantenere la barra in direzione del centrosinistra. Abbiamo molti candidati bravissimi. Insomma, non siamo rassegnati alla sconfitta, come qualcuno vorrebbe. Sappiamo che il voto sconta un orientamento popolare che tradizionalmente va a svantaggio di chi governa. È successo anche al governo Berlusconi. Dopo la vittoria del 2001, alle amministrative successive andò un disastro. E nessuno si è sognato di legare le sorti del governo a quei voti.

Le contestazioni a Padoa Schioppa, le richieste di verifica di governo di Mastella: non rischiate di pagare anche per una maggioranza che non appare precisamente compatta?
Questa frammentazione è frutto di una brutta legge elettorale. Non è che il centrodestra se la passi meglio. Al momento si sono articolate due o forse più opposizioni.

Il centrodestra non sta al governo.
Ma il problema resta la legge elettorale. Ci sono troppi partiti e tutti questi partiti non corrispondono a diversi progetti di governo. Il Partito democratico è una risposta a questo e un’inversione di tendenza che sarebbe auspicabile venisse anche dal centrodestra.

I Ds e Margherita si sono uniti. Ma i Ds hanno subito una scissione. E ora una scissione sembrerebbe avviata anche nella Margherita, con la senatrice Dato…
La decisione individuale della senatrice Dato mi dispiace molto. Ma non è comparabile al significato di unificazione del progetto del Pd. La rottura dei Ds invece è una cosa importante che può darsi però serva anche per rendere più esplicito e visibile il profilo del partito democratico.

Torniamo alla maggioranza. Diceva che è compatta.
Ill centrosinistra, in questo primo anno di governo, le scelte più importanti le ha fatte compattamente. Una finanziaria di lacrime e sangue è stata sostenuta anche da Rifondazione, che nelle previsioni di molti osservatori era destinata a separare le proprie responsabilità dal governo. Anche gli impegni internazionali, come il Libano, la maggioranza ha tenuto molto bene…

Ma sull’Afganistan c’è scappata una mezza crisi di governo, al Senato.
Al Senato, con questa legge elettorale, nessuna maggioranza avrebbe vita facile. La legge elettorale è stata volutamente scritta per rendere ingovernabile il Senato.

Restano i ministri che litigano, il portavoce unico del governo che viene sistematicamente ignorato. Qui la legge elettorale non c’entra.
Questo è un problema vero. La spinta ad assumere posizioni visibili per esprimere la diversità della propria parte produce un carosello di voci stonate, indispettite o minacciose, a seconda dell’occasione, che rischiano di vanificare i vantaggi di questa esperienza di governo assolutamente positiva. Per questo il momento di affezione del cittadino verso la politica non è alto anzi rischia di assumere caratteri di forte antipolitica. La migliore risposta è la coesione, la scelta di semplificazione, verso un progetto che guardi oltre le nostre distanze.

Ma anche nel Pd non è che le distanze manchino. Pensiamo ai Dico.
Sui Dico abbiamo fatto un grosso sforzo di avvicinamento e di integrazione politica. La stragrande maggioranza del Ds e della Margherita si riconoscono nello sforzo di mediazione che hanno fatto Bindi e Pollastrini. E insieme hanno proposto, e lo faranno questa settimana al Meeting sulla famiglia a Firenze, un approccio insieme laico e positivo e attento ai temi della nostra modernità, in particolare a quelli cosiddetti eticamente sensibili.

A proposito di Firenze, lì il ministro Ferrero non andrà perché Bindi non ha invitato i rappresentanti delle associazioni omosessuali.
Sbaglia Ferrero a non cogliere il senso vero delle dichiarazioni del ministro Bindi. Che ha ribadito il rispetto per gli uomini e le donne di qualsiasi orientamento sessuale, ma ha voluto riaffermare la differenza fra famiglia e coppia di omosessuali, che nel nostro ordinamento non costituiscono una famiglia. È la Costituzione, non il ministro Bindi. Fra l’altro il ministro Bindi più di altri ha fatto uno sforzo di attenzione nei confronti di tutti anche degli omosessuali. E lo dimostra proprio la legge sui Dico.

Secondo i sondaggi il 70 per cento dei cittadini non si fida dei politici. C’è un gran dibattito intorno a un ceto politico che si autoattribuisce soldi e privilegi. Non avete paura del senso di diffidenza che si sta creando intorno alla politica e ai politici, di quella che Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, il fenomeno della “la perdita di cittadinanza”?
Dobbiamo cogliere questa spinta. Non assecondando una rappresentazione deformata, secondo cui esiste davvero una casta, ma facendoci carico di ridurre gli sprechi e i privilegi ovunque si trovino. Però attenti a cavalcare le spinte populiste. Lo sperpero delle risorse c’è anche altrove. Nell’amministrazione delle aziende, spesso anche con larga parte di capitale pubblico, si ha una rotazione nel management con liquidazioni pari al costo di un anno del costo un organismo parlamentari. E non è spreco? Detto questo, dobbiamo farci carico di fare meglio la politica, non tanto di costare meno individualmente. I parlamentari non sono un costo eccessivo. È l’organizzazione parlamentare ad essere strutturalmente inefficiente. E su questo fronte le maggioranze sono troppo timide nel proporre le riforme. Come quella di una seria modifica dei regolamenti parlamentari. Quando 600 deputati votano migliaia di emendamenti in una giornata, non stanno esercitando il loro mandato parlamentare, sono diventati dei semplici premitori di tasti.

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