Camera dei Deputati, 15/01/2008
«Abbiamo avuto modo di esprimere, in questi giorni, in più occasioni, un giudizio non equivocabile e negativo per la scelta operata da una parte assolutamente minoritaria del corpo docente dell’ateneo romano La Sapienza, relativamente alla presenza del Pontefice in quell’università. Consideriamo molto grave tale comportamento, le ragioni che lo hanno sostenuto e l’effetto che esso ha prodotto (ossia la rinuncia, da parte del Papa, alla sua presenza fisica nel predetto ateneo romano): essi pongono, infatti, una questione che riguarda da vicino il profilo della cultura democratica del nostro Paese e trasmettono al mondo un’immagine che non corrisponde alla civiltà del dialogo e alla tradizione democrazia e della tolleranza, che fanno parte del DNA della democrazia italiana.
Più grave è che ciò avvenga all’interno dell’università, luogo strutturalmente e costituzionalmente elettivo per il dibattito, il confronto delle idee, la contestazione delle idee stesse, anche nelle forme più ferme e più decise. Non era e non è in discussione, ovviamente, il giudizio nel merito delle opinioni espresse, nel suo alto magistero, dall’attuale Pontefice. Non è in discussione perché nel nostro Paese ciò avviene quotidianamente: vi è la libertà di critica, non solo per le opinioni espresse dal Pontefice, ma da qualunque altra autorità o singolo cittadino italiano, per cui non solo è possibile, ma si sviluppa quotidianamente un confronto libero, privo di qualunque freno. Ma oggi si è posta in questione la libertà del Pontefice, autorità di rango universale sul terreno morale e culturale, di partecipare, all’interno dell’università, per esprimere le proprie idee.
L’esercizio di intolleranza che si è sviluppato, come credo ha efficacemente definito il rettore dell’università romana, attraverso una posizione da «cattivi maestri» costituisce una posizione che genera intolleranza, estremismo, chiusura, arretramento del dialogo.
In un tempo nel quale noi, gli italiani, abbiamo rifiutato l’idea di una guerra di civiltà, abbiamo rifiutato l’idea che nel mondo le differenze di religione possano essere motivo di una guerra come quella che da qualche parte del mondo si verifica e che noi contestiamo, pensiamo che il rischio alto, in queste posizioni, sia quello di interrompere il processo del dialogo fra le religioni, che invece consideriamo fattore di pace. Per tali ragioni e con tali motivazioni, consideriamo una grande opportunità perduta, per l’università romana, l’occasione di un confronto con l’attuale Pontefice, ma ancora più ci turba l’idea che al mondo si possa trasmettere l’idea di un’Italia diversa da quella che pensiamo di rappresentare e che gli italiani pensano di vivere quotidianamente, nel rispetto e nella tolleranza reciproca»