La Nuova Sardegna, 11/06/2008
Non siamo alla ricerca di alleanze per vincere, l’importante è governare
Ci manca poco che Antonello Soro, orgolese di nascita, nuorese di adozione, gallurese nella versione vacanziera (ha casa a Montepetrosu), cominci a parlare romanesco, visto il tempo che trascorre nella Capitale. Ha rischiato di perdere il posto di capogruppo del Pd alla Camera: D’Alema e Bersani si sono messi di traverso e solo la tenacia di Walter Veltroni ha consentito all’uomo politico barbaricino di restare al suo posto. Una bocciatura sarebbe stata considerata una punizione e avrebbe coinciso con la fasce discendente della sua carriera. Trovandolo a Roma, ci si rende conto che è impegnatissimo, ha i minuti contati. Ma la tentazione di «stanarlo» è troppo forte. Verrebbe voglia di prenderlo per i capelli: impresa assai ardua. Accontentiamoci di farlo uscire allo scoperto, ora che il dibattito sulla scelta del candidato governatore si fa sempre più «caldo». Se qualcuno avesse dei dubbi sulla scelta di campo di Soro, se li tolga dalla testa. Antonello Soro è più soriano di Renato Soru. –
S’è dimenticato della Sardegna, onorevole Soro?
«Ma quandomai. Perché me lo chiede?»
Sembra defilato.
«Impressione sbagliata. La verità è che la funzione di capogruppo del Pd alla Camera mi assorbe molto. L’impegno è notevole, al pari della soddisfazione ma non per questo mi autoescludo dal dibattito o dalla partecipazione su ciò che accade nella mia terra».
Prendiamo atto. Ha schierato le sue truppe?
«Ma quali truppe! Quel che penso e i giudizi che esprimo vanno valutati come il contributo di un semplice militante del Partito Democratico che dice la sua senza voler rappresentare qualcuno».
Beh, non faccia il democristiano: lo dica ora come la pensa.
«Su cosa?»
Sul candidato alla guida della Regione.
«Mi provoca? Rispondo. Penso che Renato Soru debba essere il nostro candidato. Non solo perché è scelta consolidata nel Pd confermare l’uscente di primo mandato in tutte le regioni, comuni e province che si preparano al voto. Ma anche perché – è una mia valutazione – Renato Soru è un buon presidente e merita di governare per un altro ciclo».
La fa facile, lei. Nel Pd c’è chi dice no.
«Soru è l’unico ad aver annunciato la sua candidatura. Se ce ne saranno altre, e mi pare improbabile, si faranno le primarie e non sarà un dramma».
Uno degli anti Soru dovrebbe essere Graziano Milia, altri insistono su Tore Cherchi.
«Non entro nel merito dei nomi. Ribadisco: fino al 30 giugno c’è tempo per presentare altre candidature».
Soru non piace a settori dell’ex Margherita. Un nome su tutti: il deputato Paolo Fadda. Come la mettiamo?
«Quando si utilizzano le categorie ex Ds ex Dl si rischia un riflusso nel passato. Ora è il tempo del Pd e non ha senso ragionare nel nome di vecchie divisioni».
D’accordo, ma non ha risposto.
«Ho le mie idee e nutro molto rispetto per quelle degli altri. A quanti in questi giorni mi hanno chiesto un consiglio ho risposto che dovremmo evitare di avvelenare il pozzo dal quale dovremo, tra un anno, bere tutti».
Già, ma lei?
«Io non cambio opinione: con o senza primarie mi sento impegnato fin d’ora a sostenere Renato Soru».
Ci risiamo: meglio Soru, quattro anni dopo.
«Anche nella recente campagna elettorale, ho avvertito negli elettori del nostro partito favore e sintonia con il Presidente assai più calorosi di quelli manifestati da molti dirigenti. Credo che Soru conservi un grande consenso popolare».
Ci manca poco che le faccia un monumento: eppure anche lei ha avuto da ridire su di lui.
«Non rinnego i punti di criticità, ma ritengo che i meriti superino le critiche».
E quali sarebbero i meriti?
«Renato Soru ha dato un importante contribuito a definire una nuova visione della Sardegna; ha ridato autorevolezza e rango alla presidenza della Regione; ha cominciato concretamente a cambiare la Sardegna, ottenendo buoni risultati».
Sarebbero?
«All’isola ha ridato un nuovo ruolo, puntando sulla difesa della sua identità. Ha lavorato bene sul fronte dell’ambiente, sui temi dello sviluppo economico, ha centrato una battaglia storica per l’autonomia finanziaria della Regione, così come sulle servitù militari. Ce n’è abbastanza per dipingere un quadro positivo».
E i punti di criticità, come li chiama lei?
«Soru ha una personalità forte, con molte rigidità di carattere e all’inizio della sua esperienza ha pagato un forte tributo alla sua desuetudine con i meccanismi democratici.
Tradotto dal politichese, che significa?
«Penso ad esempio alla scelta frettolosa, non dico improvvisata, di collaboratori nello staff e nello stesso esecutivo. Ha avuto un rapporto conflittuale con la sua maggioranza. Ma per converso non va sottaciuta la forte resistenza incontrata. Esiste in Sardegna, più acuta che altrove, una costante difensiva e di conservazione, indisponibile ad ogni forma di cambiamento, che ha trovato grande sponda nelle burocrazie regionali, nel sindacato e in molti ambienti del Consiglio regionale».
Specifichi meglio.
«L’innovazione è apprezzata solo quando non riguarda il nostro giardino».
Soru continua a essere spigoloso, poco incline al dialogo e al confronto.
«Beh, io l’ho sentito in occasione dell’assemblea regionale del Pd e in quell’occasione ha manifestato la volontà di ricercare una maggiore collegialità».
C’è da fidarsi?
«Mi attengo a quanto ha dichiarato pubblicamente. Certo, tutto dev’essere compatibile con l’attuale forma di governo, fortemente incardinata nella figura del presidente».
Se lei fosse Soru, cosa farebbe ora per incrementare i consensi?
«In vista dello sprint finale apporterei qualche ritocco alla squadra di governo: secondo me, qualche cambiamento può giovare alla causa».
Una rivoluzione no, onorevole Soro?
«No, sarebbe contraddittoria oltreché non necessaria. Qualche elemento fresco nell’esecutivo invece renderebbe più efficace l’azione di governo».
All’orizzonte di Soru s’intravvede qualche nube che può nuocere al consenso.
«Tipo?»
Beh, il caso Saatchi: nessuno sa come andrà a finire.
«L’onestà personale del presidente della Regione è un elemento di forza di tutta la coalizione, e non c’è alcun sardo che ne dubiti».
Soru ha comprato l’Unità: riemerge il conflitto d’interessi.
«Acquistando un giornale così importante per il Pd, Soru intanto ne ha evitato la chiusura. Con l’affidamento della gestione e dell’amministrazione a una Fondazione si può escludere ogni conflitto d’interessi. Con questa storia del conflitto d’interessi non vorrei che ci soffermassimo su quello presunto di Soru, dopo aver discusso molto e per anni su quello di Berlusconi: questo tema, somiglia molto alla parabola della pagliuzza e della trave».
Alleanze. Il Pd nazionale ha corso da solo, quello regionale non sembra orientato allo stesso modo.
«In Sardegna lo scenario politico è differente: è essenziale la condivisione del programma, delle cose da fare. Ebbene, mi pare che non poche forze politiche abbiano condiviso e vogliano ancora condividere in futuro un programma di governo, ferma restando l’indicazione della leadership da parte del Pd. Il rapporto con alcuni alleati è eccellente: è un ottimo punto di partenza».
Allearsi per vincere è diverso dall’allearsi per governare.
«Proprio così. Non ci interessa la ricerca di alleanze pur di vincere, ma alleanze per guidare ancora la Sardegna».
Più di una forza politica è pronta a schierarsi col Pd ma pone una pregiudiziale: niente Soru.
«Nessuno in Sardegna ha la forza né la legittimazione per porre veti di questo genere». –
E se insistessero con il no?
«Sarebbe inaccettabile».
Torniamo un attimo al Pd sardo: non sembra godere di buona salute.
«In effetti in Sardegna il Pd vive qualche sofferenza in più rispetto a quello nazionale. Ha accusato carenze sul piano del dibattito culturale, la stessa campagna elettorale dello scorso aprile ha messo al centro della competizione lo scontro politico sulla Regione. Ora è giunto il momento di fare un salto di qualità, di entrare nel vivo dei temi che caratterizzano il sistema politico italiano».
Come?
«Ora, penso, che la lunghissima fase di avvio organizzativo vada conclusa con la nascita dei circoli (siamo una delle ultime regioni, insieme a Calabria e Campania, in cui non si è costituita la rete locale dei circoli); ma da subito va aperta la discussione politica, l’iniziativa sul futuro della Sardegna, sul posizionamento sociale e culturale del Pd, la nostra idea della democrazia nel 21º secolo. Dobbiamo indicare la direzione di senso, per segnare le differenze, per attrarre interesse, per guadagnare un consenso durevole». – Uno sguardo a destra: il Pdl non ha ancora scelto il candidato governatore. «La destra è molto più divisa di noi. A differenza di quanto è accaduto a livello nazionale, oltre a non avere un programma, non ha un leader. In Sardegna non c’è un Berlusconi, ma tanti pretendenti che cavalcano tutte le spinte conservatrici e reazionarie per unirsi solo in un unico obiettivo: la guerra a Renato Soru».
Un’ultima cosa: Beppe Pisanu. Se non gli daranno la presidenza dell’Antimafia, cosa farà secondo lei?
«Ho troppo rispetto per Beppe Pisanu per suggerirgli quello che deve fare».
Romperà con Berlusconi?
«Improbabile».