Europa, 31 ottobre 2008
La protesta del mondo della scuola è stata fino ad oggi una protesta civile e pacifica. Sui fatti e sulle ombre di piazza Navona aspettiamo dei chiarimenti: dal governo, non certo dagli studenti. La marea umana che ieri ha invaso Roma e insieme alla Capitale le cento altre città d’Italia fino a toccare i piccoli centri, e addirittura le isole minori, è un evento cui non si era mai assistito. Il mondo della scuola ha dato al paese una grande lezione di cittadinanza.
Il messaggio è stato chiaro: studenti, professori e genitori insieme non chiedono il mantenimento della situazione attuale ma una scuola che funzioni davvero. Chiedono un progetto educativo che sappia dare uguaglianza di opportunità.
Con la manifestazione del Circo Massimo, il Pd ha cominciato a dare risposte basate su valutazione, autonomia e merito. Non lo abbiamo fatto per opportunismo, perché noi verso il mondo della scuola siamo esigenti non indulgenti.
Lo abbiamo fatto perché noi alla scuola pubblica, alla qualità della pubblica istruzione riconosciamo assoluta centralità.
Rispetto a questa forte domanda, da parte del governo e della maggioranza non c’è stato ascolto.
L’approvazione finale del decreto Gelmini ha infatti chiuso la porta in faccia a chi aveva cercato, fino a quel momento, di rendere ragione delle proprie idee. Ancora una volta si è fatta passare l’incapacità di ascoltare per capacità di decidere.
La protesta della scuola non è riuscita a fermare, come del resto era prevedibile, la mano della maggioranza, ma ha scosso le coscienze degli italiani determinando una prima seria frattura tra governo ed opinione pubblica.
La favola dell’eliminazione degli sprechi non è passata. Gli sprechi si tolgono con il bisturi non con la mannaia. Il governo invece ha preferito la seconda.
Il risultato è che il sistema formativo esce con le ossa rotte da questo decreto. È bene allora essere onesti e chiamare le cose con il loro nome. Il decreto Gelmini non è stato un intervento tecnico su determinate poste di bilancio: dietro questa iniziativa c’è il disegno politico di indebolire, di ridurre in condizione di subalternità, un preciso mondo vitale, che è quello della scuola pubblica. Il governo e la maggioranza hanno individuato nei maestri, negli insegnanti, nei professori delle scuole statali una categoria sociale ostile.
Una parola ancora sugli studenti.
Uno dei cori più ripetuti durante le manifestazioni di ieri è stato il coro simbolo della vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio, ma con parole cambiate: “Siamo noi, siamo noi, il futuro dell’Italia siamo noi”. Ecco, sarebbe bene che riflettessero tutti coloro che hanno semplicisticamente etichettato questa protesta come una riedizione di quelle del XX secolo. Allora gli studenti si ribellavano contro l’autorità, onnipresente, invasiva, opprimente. Oggi si ribellano contro l’abbandono. Le appartenenze politiche contano oggi molto meno di allora.
Si sta dietro lo striscione della propria scuola non dietro quello della propria organizzazione politica.
Allora ci si ribellava contro un sistema che sembrava aver già deciso il tuo destino. Oggi si protesta perché ci si sente soli e indifesi davanti al futuro. Ma il futuro, a quanto pare, non è una priorità di questo governo.
Il Pd riconosce nella scuola un punto di crisi acuta. Il voto sul decreto Gelmini ha sancito solo la fine del primo tempo: per ora ha prevalso l’arroganza del governo, ma la partita non è finita. Il secondo tempo è cominciato ieri nelle piazze di tutta Italia e continuerà con la raccolta delle firme per il referendum proposto dal Pd.