Camera dei Deputati, 18/11/2008
Intervento sull’approvazione delle missioni in Georgia
Dirò subito che il gruppo del Partito Democratico voterà a favore del decreto-legge sulle missioni, e proprio per questo motivo vorremmo che la discussione fosse più franca e più libera. Non è, infatti, il se delle missioni, ma il come che vogliamo discutere. È una domanda che sale dal Paese, da molti suoi ambienti e dall’opinione pubblica, che si interroga con serietà circa i nuovi scenari e le nuove incognite della politica internazionale.
Sappiamo che il ruolo dell’Italia e dell’Europa deve essere collocato in uno scenario internazionale molto mutato negli ultimi anni e che le recenti vicende, da quelle della crisi del Caucaso fino alla nuova Presidenza americana, concorrono a rendere ancora più inedito ed incerto questo scenario. Siamo lontanissimi dalle sicurezze degli anni Novanta, quando la ricerca del nuovo ordine mondiale, come ebbe a definirla il Presidente Bush senior, accompagnata dallo sgretolamento dell’equilibrio del terrore e del mondo bipolare, era contraddistinta dalla cosiddetta iperpotenza americana e dalla convinzione che la democrazia, liberata dalla gabbia in cui la storia l’aveva costretta negli anni della guerra fredda, potesse progressivamente ed inarrestabilmente difendersi in ogni dove.
Siamo, però, lontani anche dalla guerra globale al terrorismo e dalla guerra preventiva del Presidente Bush figlio, conseguente all’attacco dell’11 settembre 2001.
L’America è oggi costretta ad affrontare problemi di crescita interni, le gravi conseguenze della crisi finanziaria, il peso di un debito pubblico detenuto in gran parte da Paesi esteri, in primo luogo dalla Cina e dal Giappone, un impegno sul terreno, dall’Afghanistan all’Iraq, sempre più pesante. Quelle che erano negli anni Novanta nazioni emergenti, si affermano, ormai, come nuovi protagonisti regionali e globali; un nuovo multipolarismo, che ancora stenta a trovare gli equilibri e le forme più efficaci di governance, specie a fronte di una preoccupante riduzione del ruolo e dell’autorevolezza delle Nazioni Unite.
Il clima della distensione, i grandi trattati sulla non proliferazione e sullo smantellamento degli arsenali nucleari, così come i grandi accordi sul disarmo, vengono improvvisamente rimessi in discussione, e al pericolo della diffusione delle armi nucleari nelle mani del terrorismo o di nuove testate installate in zone calde del globo si aggiunge oggi un nuovo ritorno alle minacce, persino in Europa, che ricordano il confronto della guerra fredda.
Proprio per questi motivi è venuto il momento di riflettere, innanzitutto in Parlamento, sui grandi scenari della politica estera, sul ruolo che l’Italia e l’Europa intendono e possono giocare in uno scenario sempre più ricco di sfide innovative per tutti. È venuto il momento di discutere seriamente, approfondendo le questioni e non lasciandole ad una diplomazia estemporanea, fatta di pacche sulle spalle e battute di dubbia sagacia, che non portano né lustro al Paese né aiutano ad affrontare temi delicati con la giusta preparazione e dopo un’adeguata riflessione.
In questa occasione, che si ripeterà a gennaio con il rifinanziamento annuale complessivo delle nostre missioni internazionali, vogliamo chiedere al Governo e alla Camera un supplemento di discussione e di dibattito, ribadendo la convinzione del Partito Democratico che questo tema resta centrale per il nostro futuro e per il ruolo che l’Italia intende giocare.
Abbiamo avuto modo di esprimere apprezzamento per l’aumento delle missioni condotte dall’Europa, in ambito di politiche europee di difesa e di sicurezza, attualmente presenti in tutti i teatri principali, dal Caucaso alla Bosnia, dal Congo al Medio Oriente. L’esigenza di una politica di difesa comune europea appare sempre più necessaria ed auspichiamo un impegno del Governo a sollecitare un maggior coordinamento anche a livello operativo, per conseguire il risultato di una vera politica estera e di difesa europea. Quando l’Unione riesce ad agire con una sola voce, si pone inevitabilmente al centro della scena internazionale e assurge al ruolo insieme di mediazione e di promozione dei valori democratici che le è riconosciuto come proprio.
In questo scenario così delicato, dagli equilibri così instabili, in una fase di transizione tra due Presidenze americane così differenti quanto a visioni strategiche, nel mezzo di questioni di portata storica, quali quelle che coinvolgono l’impegno della NATO in Afghanistan, l’allargamento eventuale dell’Alleanza atlantica e il rapporto con la Russia, non può che preoccupare l’atteggiamento del nostro Presidente del Consiglio, che sembra voler costruire una nuova ondivaga linea di politica estera nel segno delle battute, delle dichiarazioni stampa poi smentite, di impegni internazionali contraddittori.
Abbiamo avuto notizia, stamattina, dell’ultima performance del nostro Presidente del Consiglio, a Trieste. Non credo che gli italiani seri e responsabili abbiano trovato nella manifestazione odierna di capacità spettacolare e di commedia del nostro Presidente del Consiglio l’orgoglio che, di norma, si deve pretendere dagli italiani che hanno davanti un Presidente del Consiglio responsabile.
Non possiamo non richiamare alcuni episodi di questi mesi, che sembrano delineare un approccio nuovo dell’Italia alle questioni di politica internazionale; un atteggiamento che via via si è accentuato dopo l’elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti e con l’allontanamento della linea neoconservatrice di Bush dalla Casa Bianca.
Alcune prese di posizione del Presidente Berlusconi rischiano di tradire un atteggiamento superficiale e incerto sul corretto posizionamento del nostro Paese nella nuova dialettica fra Washington e Mosca: un atteggiamento che si autodefinisce di utile mediazione, ma potrebbe apparire alle cancellerie internazionali sbilanciato e inaffidabile, specialmente se avesse l’ambizione di una sua autonomia e non cercasse invece l’indispensabile stretto coordinamento con l’azione europea, già sede di mediazione proficua fra istanze, preoccupazioni e percezioni differenti.
Dopo la crisi georgiana due preoccupazioni si sono fronteggiate in Europa: da una parte le valide preoccupazioni circa la necessità di dialogo costante e di una cooperazione coinvolgente nei confronti di Mosca, che sono proprie di molti Paesi europei. Non si potrebbe pensare del resto a promuovere aree di stabilità nel Caucaso, ai confini orientali dell’Europa e persino in Afghanistan o in Iran senza un rapporto positivo con la Russia. Tuttavia, non possono passare in secondo ordine, dall’altra parte, le richieste di sicurezza, di garanzia dell’integrità territoriale, di rispetto dei principi del diritto internazionale che altri Stati avanzano per mantenere un rapporto non subalterno nei confronti di Mosca.
Sono di fronte a noi appuntamenti internazionali di grande rilevanza: la ripresa delle discussioni circa la partnership strategica con la Russia, occasione per ridefinire la piattaforma di valori di riferimento per la relazione euro-russa; la questione energetica e quella della democrazia; la discussione, insieme alla NATO, sull’allargamento eventuale a Ucraina e Georgia, mentre proseguiranno i colloqui di Ginevra sulla situazione in Caucaso. Per questo motivo ci appaiono assolutamente fuori luogo dichiarazioni come quelle fatte dal Presidente del Consiglio in sede di conferenza stampa a Mosca, in cui si parla di provocazioni da parte dell’Occidente. Si discute di scudo spaziale, mentre la Casa Bianca è intenta a riconsiderare la situazione; oppure di Kosovo, mentre faticosamente il Governo democratico e filoeuropeo di Tadic cerca di uscire dalla trappola del nazionalismo e l’Europa invia, con il consenso dell’Italia, la propria missione civile.
Noi Democratici siamo strutturalmente favorevoli al dialogo, ma non ci rassegniamo ai balletti diplomatici: con i giri di valzer non si ricostruisce credibilità, la si sperpera, e nessun ammiccamento, nessuna complicità esclusiva ed escludente noi vogliamo riconoscere. Non ci sono centinaia di pacche sulle spalle al Presidente americano uscente che possono valere la pugnalata alle spalle inflittagli dal nostro capo del Governo nel momento in cui ha definito il riconoscimento del Kosovo come una provocazione verso la Russia. Vogliamo ricordare al Presidente del Consiglio che così non è solo la sua personale credibilità verso gli Stati Uniti che viene meno, ma è la credibilità del nostro Paese che viene meno di fronte a tutta la comunità internazionale. E a questo punto, lo dico per inciso, attendiamo con qualche ansia perfino di esaminare il testo del Trattato di amicizia con la Libia, di cui il Consiglio dei ministri continua a rinviare la formale approvazione e quindi l’invio alle Camere, e che ha già causato qualche problema diplomatico rispetto all’interpretazione di alcuni articoli che sembrerebbero in contrasto con il Trattato NATO.
Signor Presidente, nel momento stesso in cui noi votiamo convinti per il sostegno alle nostre missioni internazionali e chiediamo al Parlamento di discuterne con serietà e con responsabilità, vogliamo ancora una volta rinnovare la nostra gratitudine per l’impegno e la dedizione di tanti uomini e di tante donne che sono impegnati lontano da casa, in missioni spesso complesse e pericolose.