Diritto all’oblio senza certezze

Il Garante: va trovato il giusto equilibrio tra privacy e memoria collettiva

(di Antonello Cherchi, Il Sole24Ore, giugno 2014)

La privacy al tempo dei big data. Sarà questo il tema centrale della relazione al Parlamento che il Garante, Antonello Soro, terrà domani. La protezione dei dati personali aggregati e conservati in archivi sempre più grandi e spesso immateriali, come le nuvole informatiche del cloud, o sparsi in tante appendici tecnologiche, come telefonini, tablet, personal computer: questa è la sfida del futuro.”La partita si gioca – sottolinea Soro – nella società digitale. Sempre di più, infatti, la vita si sposta là e il punto di sofferenza dei diritti è lì che è più elevato, perché al momento ci sono meno presidi”.

Come insegna la recentissima vicenda sul diritto all’oblio e l’annuncio di Google di correre ai ripari. C’è voluta, però, una sentenza della Corte di giustizia europea, che a metà maggio ha affermato che i motori di ricerca sono comunque responsabili del trattamento dei dati personali “pescati” su siti gestiti da terzi. Dunque, se un cittadino reputa che le informazioni che lo riguardano non siano aggiornate, può chiederne la rettifica o la deindicizzazione, cioè l’impossibilità di risalire a esse, direttamente al motore di ricerca. È quello che gli addetti ai lavori chiamano diritto all’oblio.

“Uno dei meriti dell’intervento dei giudici europei – commenta Soro – è che il diritto all’oblio è stato riconosciuto come tale. Non è più una suggestiva espressione utilizzata nei dibattiti tra giuristi o nell’ambito giornalistico: è un diritto che ha immediate ricadute sulla dignità personale e sulla protezione dei dati”. Ma c’è di più. La sentenza della Corte Ue, prosegue il Garante, rappresenta “una rivoluzione, perché ha affermato la giurisdizione europea anche su motori di ricerca che hanno una sede esterna al Vecchio continente”.Come è, appunto, per Google, che ha il quartier generale in quel di Mountain View, in California.

Infine, c’è un terzo aspetto, conseguenza di quanto deciso dai giudici Ue. È notizia dei giorni scorsi che Google ha deciso di dare corso alla sentenza pubblicando sul web un modulo attraverso il quale si può chiedere di rimuovere dal motore di ricerca informazioni personali non veritiere o sorpassate. A stabilire i criteri dell’applicazione del diritto all’oblio sarà un comitato di esperti che l’azienda statunitense ha insediato. “È positivo – sottolinea Soro – che Google non si sia messa in un atteggiamento di resistenza, ma abbia accettato la sfida. Una sfida complessa, perché mette, a livello di giurisdizione europea, i motori di ricerca in una condizione simile a quella degli editori. Riconosce che i motori di ricerca non sono semplicemente un meccanismo che opera attraverso algoritmi, ma devono assumersi la responsabilità di tutto quello che si muove nella rete. E qui si apre una pagina nuova, sulla quale tutti ci stiamo confrontando”.

Tema che nella relazione di domani il Garante non mancherà di affrontare. “Finora il cittadino che chiedeva di deindicizzare un’informazione personale trovata su internet – spiega Soro – si rivolgeva all’editore del giornale che aveva pubblicato la notizia e nel cui archivio quel dato si trovava. Ora, invece, può chiamare in causa direttamente il motore di ricerca. Ma la notizia su cui si chiede di intervenire non è detto che, come accade quando ci si rivolge a un editore, provenga da sito di carattere giornalistico o da un archivio strutturato. Google, infatti, raccoglie le informazioni più varie da ogni piccolo sito o all’interno delle discussioni che avvengano online. Il rischio, allora, è che l’applicazione del diritto all’oblio causi in maniera irreversibile la perdita di informazioni”.

Qui entra in gioco il difficile bilanciamento tra privacy e diritto del cittadino a essere informato, compromesso che la sentenza Ue non ha affidato ai motori di ricerca. Google, dunque, ha fatto un passo non richiesto. Ha accettato di cimentarsi in un compito improbo, rimettendo tutto nelle mani del comitato di saggi e dei criteri che saranno messi a punto per rispondere alle richieste dei cittadini.

“Il problema – afferma il Garante – è che i criteri indicati dal comitato direttivo saranno quelli di Google, non del diritto europeo. Ogni volta che, sulla base di quei criteri, si deciderà di accogliere una richiesta, si aprirà un’incertezza, perché si potrebbe mettere a rischio la memoria collettiva. Non penso, dunque, che possa essere Google a garantire il bilanciamento tra il diritto all’oblio e quello all’informazione chiesto dalla sentenza. Semmai Google può concorrere. Credo sia necessario trovare meccanismi attraverso i quali affermare il ruolo delle Autorità di garanzia. Si tratterà di studiare come. È un terreno aperto”.

Bisognerà fare in fretta. Le richieste di diritto all’oblio sono già in arrivo. In tutta Europa sono più di 12mila. E in Italia? “Non abbiamo una notizia diretta, perché le segnalazioni non arrivano a noi. Posso, però, dire – conclude Soro – che nell’ultimo anno c’è stata una forte accelerazione dei nostri interventi riguardo alle richieste inoltrate agli editori. E bisogna considerare che sono solo una parte, perché si tratta delle pratiche che gli editori hanno ritenuto di non poter accogliere”.

PRIVACY POLICY