Novità nella comunicazione della Polizia di Stato. Le prevede una recente circolare sulla quale riflettiamo insieme al Garante della privacy, Antonello Soro
(Polizia Moderna, agosto/settembre 2014, di Annalisa Bucchieri)
Da poco è sulla scrivania di tutti i portavoce delle questure d’Italia, dei direttori centrali e degli uffici territoriali, la circolare che contiene le linee guida sulla comunicazione della Polizia di Stato. L’ha voluta fortemente il capo, il prefetto Pansa, sentendo necessario raggiungere un’uniformità di procedure e modalità lungo l’intero territorio nazionale, ma anche – e soprattutto – per ribadire a tutti coloro che indossano la divisa quanto una comunicazione efficace si basi sulla trasparenza, la tempestività e la coerenza delle informazioni divulgate.
Se questo richiamo all’attenzione ci dice quanto la comunicazione sia percepita dalla Polizia di Stato come un momento imprescindibile di confronto con la società civile, diventa importante il parere di chi è preposto a tutelare dati e informazioni sensibili sui cittadini in possesso degli operatori di polizia, cioè il Garante della privacy da giugno 2012, Antonello Soro.
Signor Garante l’indicazione espressa dalla circolare sulla comunicazione della Polizia di Stato di implementare, da parte degli operatori della Digos, le riprese delle manifestazioni di ordine e sicurezza pubblica per consentire la ricostruzione degli eventi di rilievo in maniera da consentire una valutazione più obiettiva da parte dell’opinione pubblica può avere controindicazioni?
È un’esigenza condivisibile, ma deve essere limitata ai casi di effettiva necessità e di concrete situazioni di pericolo. Sebbene al trattamento di dati effettuato per finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica non si applichino alcune specifiche disposizioni del Codice privacy (e in particolare quelle che prevedono l’obbligo della informativa e del consenso degli interessati), occorre comunque garantire il rigoroso rispetto della normativa generale e, più specificamente, degli stringenti principi di necessità e proporzionalità. Le valutazioni sulle modalità con le quali le informazioni raccolte con le riprese video saranno utilizzate dovranno esse svolte caso per caso e dovranno essere giustificate da situazioni di particolare criticità che rendano concreta l’esigenza delle riprese per una ricostruzione obiettiva degli eventi. In ogni caso dovranno essere limitate le eventuali riprese di soggetti che siano del tutto estranei, quando le immagini non siano pertinenti o necessarie. E dovranno essere adottate particolari cautele con riferimento alla conservazione della suddetta documentazione, provvedendo a cancellare le riprese non pertinenti.
Considera soddisfacente l’indirizzo della circolare riguardo alla limitazione della diffusione di foto segnaletiche e di soggetti ripresi con manette?
Il problema è quello di assicurare l’osservanza concreta delle specifiche disposizioni già esistenti e che prevedono la diffusione di foto segnaletiche solo in casi limitati. Purtroppo le indicazioni sono spesso disattese, come dimostra la frequente diffusione in occasione di conferenze stampa – e in assenza di specifiche esigenze di giustizia o di polizia che la legittimino – di foto segnaletiche che rendono generalmente un’immagine negativa del segnalato o comunque di immagini di persone indagate o addirittura soggette a misure coercitive. Si tratta di applicare norme volte a tutelare la dignità delle persone coinvolte in indagini di polizia e che sono esplicitamente contenute anche nel Codice deontologico dei giornalisti e nel Codice di procedura penale. Le autorità di pubblica sicurezza hanno una responsabilità ulteriore in quanto sono tenute a garantire che la limitazione della libertà funzionale a ragioni di giustizia o polizia non comporti violazioni alla dignità della persona che non siano strettamente indispensabili.
Per rendere note le conversazioni sul 113 al fine di dimostrare la capacità di risposta degli operatori in situazioni di emergenza, crede sia necessaria l’autorizzazione del cittadino che ha chiamato?
Poiché il fine perseguito in questo specifico caso non rientra nell’ambito della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (per il quale il Codice privacy prevede un esonero dalla normativa generale) l’obiettivo di verificare l’efficienza delle centrali operative dovrebbe essere realizzato adottando tutte le cautele necessarie per non divulgare e diffondere dati non essenziali, come per esempio le voci dei soggetti chiamanti in maniera riconoscibile (cioè senza camuffarle, ndr).
Quasi un anno fa l’Autorità prescrisse alle Procure di provvedere entro 18 mesi a organizzare una gestione delle intercettazioni telefoniche e delle bobine più sicura e riservata. A che punto siamo? E quali accortezze dovrebbe usare l’operatore di polizia che effettua le indagini foniche?
Ritengo assolutamente necessario mettere “in sicurezza” il sistema delle intercettazioni, affinché da strumento indispensabile per la lotta alla criminalità non diventi uno strumento di sorveglianza di massa, ovvero l’occasione per raccogliere e diffondere informazioni non pertinenti con le indagini. Con il provvedimento adottato nel luglio 2013, all’esito di una indagine conoscitiva avviata presso un campione di Procure della Repubblica, abbiamo prescritto una serie di misure di sicurezza fisiche ed informatiche che dovranno essere adottate anche nei locali di ascolto e registrazione delle intercettazioni. Abbiamo richiesto l’adozione del monitoraggio dei locali e delle aree di ingresso alle sale di ascolto con impianti di videosorveglianza, l’aadozione di sistemi che garantiscano accessi selettivi alle sale anche attraverso l’utilizzo di dati biometrici, e la loro registrazione e tracciabilità. Anche gli operatori che effettuano le indagini foniche sono tenuti ad adottare tutti gli accorgimenti necessari a rafforzare e garantire i livelli di sicurezza dei dati. Vista la complessità delle misure richieste (che si ricorda riguardano sia i Centri intercettazioni telecomunicazioni situati presso ogni Procura della Repubblica sia gli Uffici di polizia giudiziaria delegata all’attività di intercettazione), l’Autorità ha aperto un tavolo di lavoro ed un confronto con il Governo ed i magistrati che sta dando buoni risultati. Al fine di consentire al ministero di elaborare una aggiornata ricognizione riguardo alle condizioni di adeguatezza strutturale e organizzativa degli Uffici giudiziari, nonché di adottare gli interventi di adeguamento, e considerato anche l’impegno economico necessario, l’Autorità ha disposto un differimento dei termini di adeguamento alle prescrizioni al 30 giugno 2015.
A proposito di intercettazioni, magistrati e giornalisti sostengono l’utilità di rendere note anche quelle parti più private che però sono utili a disegnare “il contesto”, cioè l’ambiente e la rete di relazioni in cui vive l’intercettato. Qual è la sua opinione?
Le intercettazioni sono uno strumento decisivo nella lotta al crimine ma misure investigative così potenzialmente intrusive nella vita privata dei cittadini devono essere selettive. In questo senso è necessario richiamare tutti – magistrati, avvocati e giornalisti – ad una maggiore responsabilità. Purtroppo sono cresciute forme distorsive di giornalismo che troppo spesso si limitano ad assecondare soltanto curiosità morbose e voyeuristiche e, senza aggiungere assolutamente nulla di rilevante rispetto all’interesse pubblico danneggiano in modo irreparabile la dignità delle persone e la loro vita di relazione.
Caso Gambirasio: secondo lei è stato corretto diffondere tutte le notizie rilevate dalle indagini, comprese quelle che mettevano a nudo un tradimento e una falsa paternità?
In quel caso l’Autorità è dovuta intervenire per richiamare tutti i mezzi di informazione al massimo rispetto dei principi del Codice della privacy e, soprattutto, del Codice dei giornalisti. Abbiamo riscontrato un accanimento nel diffondere informazioni e particolari – in questo caso addirittura di natura genetica – relativi ai soggetti coinvolti solo in via mediata. Una notizia – per quanto possa essere rilevante l’interesse pubblico – non può mai prescindere da un’attenta verifica riguardo alla reale indispensabilità della difffusione di dati personali.
Nella sua relazione annuale, lei ha definito un’occasione perduta il rifiuto dell’ordine dei giornalisti di approvare un nuovo Codice di autoregolamentazione con limite più rigoroso al rispetto della privacy anche a detrimento del diritto di cronaca. Ritiene legittimo ed opportuno un intervento unilaterale da parte della sua Autorità o del Parlamento?
Nell’ambito dei suoi poteri il Garante aveva promosso la revisione del Codice deontologico dei giornalisti, risalente a 16 anni fa, tentando, in particolare, di declinare il principio di lealtà e correttezza dell’informazione soprattutto con riferimento alla cronaca giudiziaria. Purtroppo, dopo un lungo lavoro, il Consiglio dell’Ordine non ha dimostrato la disponibilità al cambiamento, perdendo così un’occasione importante per superare con strumenti di soft-law quali l’autodisciplina problemi irrisolti ormai da troppo tempo. Nonostante ciò, ed in mancanza di interventi legislativi in materia, l’Autorità continuerà ad intervenire, avendo il Codice della privacy attribuitole competenze in materia di giornalismo, affinché sia sempre assicurato il giusto equilibrio tra libertà di informazione e dignità delle persone.
Quanto è garantito realmente il diritto all’oblio su Internet? Il Garante può agire anche senza una richiesta specifica del soggetto leso interessato?
Lo scorso 13 maggio la Corte di Giustizia ha emesso una sentenza di particolare rilevanza. Per la prima volta è stata radicata in un Paese UE la competenza territoriale nei confronti del motore di ricerca ed è stato espressamente affermato anche per quest’ultimo l’obbligo di rispettare la Direttiva n. 95/46 sulla protezione dei dati. In particolare si è imposto a Google l’obbligo, su richiesta dell’interessato, di “deindicizzare” (intendendo così il diritto all’oblio) informazioni che lo riguardano ritenute lesive, con particolari limiti nel caso in cui abbiano invece una rilevanza pubblica. L’indicizzazione “selvaggia” sino ad oggi realizzata configura una ingerenza particolarmente grave nella vita delle persone che non può, secondo la Corte, essere giustificata dal semplice interesse economico. Il tema è comunque complesso e delicato in quanto occorre realizzare (e la sentenza non indica la modalità) un necessario bilanciamento tra diritto alla privacy e diritto ad essere informati, tra diritti del singolo e memoria collettiva della Rete. La decisione della Corte rispecchia per molti aspetti le decisioni che il Garante, all’esito di specifici ricorsi dei cittadini, già adotta da anni. Qualora il soggetto ritenga legittimamente lesiva l’indicizzazione di una notizia, ovvevvero la sua pubblicazione sui giornali on line, ha la possibilità di tutelare la sua pozione dinnanzi all’Autorità ed esercitare il diritto di cancellazione o aggiornamento delle informazioni.
La conservazione dei dati da parte delle forze dell’ordine (tabulati telefonici, filmati di videosorveglianza) pone il problema del difficile equilibrio tra rispetto della privacy ed esigenze d’indagine e sicurezza. Attualmente questo equilibrio è stato raggiunto?
Anche i trattamenti di dati finalizzati alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica debbono rispettare i principi generali del Codice, e in particolare quello secondo cui i dati devono essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati. Si tratta di un principio che consente di realizzare quell’essenziale equilibrio tra diritto alla protezione dei dati ed esigenze di sicurezza che spesso viene disatteso. In questo contesto è di particolare importanza la sentenza della Corte di giustizia dello scorso 8 aprile che ha dichiarato illegittima la Direttiva sulla data retention n. 2006/24 per violazione appunto del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra privacy e sicurezza. Pur non attingendo al contenuto della conversazione, i dati di traffico telefonico e telematico forniscono indicazioni importanti sulle comunicazioni intrattenute da ciascuno, sui loro destinatari e sulla loro frequenza.
Recentemente lei ha emanato un provvedimento prescrittivo al gigante di Mountain View riguardo la profilazione a fini commerciali degli utenti di Google. I cookies possono essere armi improprie anche per fini politici ed elettorali, basti pensare agli innumerevoli commenti e sondaggi d’opinione su Facebook e su Twitter. Crede che l’utente del social debba avere salvaguardata la sua privacy anche a questo riguardo?
I sistemi di profilazione hanno ormai raggiunto un livello di profondità ed accuratezza che solleva preoccupazione. Pertanto, l’attenzione dell’Autorità è particolarmente elevata. L’integrazione tecnologica e la connettività hanno ampliato a dismisura la possibilità di raccogliere e archiviare informazioni personali anche molto delicate come gusti, interessi, opinioni politiche, consumi, spostamenti, orientamenti, anche sessuali. In questo contesto si inserisce il provvedimento recentemente adottato dopo un’attività istruttoria durata più di un anno, con il quale abbiamo imposto a Google l’obbligo di informare chiaramente gli utenti che i loro dati personali sono monitorati e utilizzati per pubblicità mirata e, soprattutto, di acquisirne il consenso, senza limitarsi a considerare il semplice utilizzo del servizio come accettazione incondizionata. È fondamentale imporre regole che mantengano in capo agli utenti il potere decisionale sul trattamento dei propri dati personali, tanto più se si ha la consapevolezza che il potere dei giganti del Web potrà sempre di più essere utilizzato non solo per scopi di natura commerciale ma per condizionare ed orientare le nostre scelte anche politiche. Si tratta di una sfida difficile e complessa che richiede in primo luogo una grande responsabilità da parte degli stessi utenti che da soggetti passivi devono trasformarsi in attori consapevoli dei rischi che si corrono nel consegnare con troppa disinvoltura alla Rete – che vive e si alimenta continuamente dei nostri dati personali – le informazioni che li riguardano.