(di Diodato Pirone, Il Messaggero, 18 novembre 2015)
Che fare, dunque, sul fronte della sicurezza? E’ giusto rinunciare ad una fetta della nostra libertà, della nostra privacy, pur di aumentare il livello della sicurezza collettiva? Ed è corretto impostare il “dibattito” in questi termini oppure c’è un’alternativa? Come vedremo fra gli addetti ai lavori – giuristi, magistrati, presidenti di Authority – le opinioni convergono su un solo punto: non servono leggi speciali. Ma poi toni, analisi e proposte divergono per riflettere i diversi punti di vista professionali e culturali. Buon segno. Vuoi dire che si entra nel merito delle questioni e non si procede per partito preso.
IL PRIMO PALETTO
A piantare il primo paletto è Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. “Quando si tratta di bilanciare il valore della vita e della sicurezza dei cittadini con quello della privacy, ritengo che il valore della vita debba avere la precedenza”, sottolinea Roberti che però poi precisa: “Nel nostro ordinamento non c’è spazio per leggi speciali. Esistono norme ordinamentali, anche se particolarmente rigoros, come ad esempio quelle varate col decreto sicurezza e antiterrorismo dello scorso febbraio”. Opinione sostanzialmente condivisa dal panel degli esperti interpellati dal Messaggero. “Nuove leggi? L’Italia ha già affrontato le emergenze del terrorismo politico e della criminalità mafiosa e questa esperienza ci ha permesso di costruire un patrimonio strutturato sia sul versante giuridico che su quello dell’intelligence”, spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti. Anche il professor Enzo Cheli, ex presidente dell’Authority sulle Comunicazioni concorda: “Le democrazie hanno il diritto-dovere di difendersi – sottolinea Cheli – In passato l’Italia ha preso misure legislative severe ma sempre convalidate dalla Corte Costituzionale perché erano proporzionali alla minaccia, erano temporanee e di natura parlamentare e di verificabilità da parte della magistratura”. “Più che di leggi speciali – spiega Cheli – Si può discutere in casi estremi sul potere dell’autorità pubblica di chiudere alcune linee comunicative in caso di necessità. Faccio un esempio. Poniamo che un sito internet venga utilizzato per dare istruzioni ai terroristi. In questo caso sono giustificate misu re coercitive anche sul versante delicatissimo dell’espressione del pensiero”. “Ma a mio parere il diritto all’espressione del proprio pensiero e alla libertà di stampa non va toccato – interviene Luciano Violante, ex presidente della Camera ed esperto del tema sicurezza – Sul resto non vedo quali ulteriori limiti debbano essere posti alla libertà dei cittadini. Basta prendere un aereo per essere sottoposti a controlli giustamente invasivi. Ormai i nostri telefonini, le carte di credito, persino i sensori che le assicurazioni infilano nei motori consentono un controllo continuo di abitudini e spostamenti personali. Senza considerare che i recenti casi di spionaggio internazionale hanno evidenziato quello che tutti già sapevamo: le nostre comunicazioni possono essere in qualche modo controllate al di là della nostra volontà”. “In sintesi – conclude Violante – Chi parla di ulteriore riduzione dei diritti lo fa in modo strumentale. Non è quella la strada per combattere il terrorrismo”.
I SERVIZI
A portare altro valore aggiunto alla discussione è infine Antonello Soro, garante della Privacy. “Mi chiedo – dice – quali possano essere le ipotetiche ulteriori misure per la sicurezza. Se significano un aumento delle possibilità di intercettazione da parte dei Servizi di sicurezza dico che stiamo parlando del nulla”. “Già oggi – continua Soro – i Servizi possono operare in maniera molto larga”. Secondo Soro (“Lo dico con il massimo rispetto verso la Francia”) la dinamica degli attentati transalpini dimostra che i Servizi hanno avuto la possibilità di individuare i terroristi ma non di controllarli nel momento decisivo. “E allora il problema non è quello di ridurre le libertà collettive – e qui Soro scandisce le parole – Quanto di affinare gli strumenti di indagine. I Servizi debbono migliorare le loro capacità sia nell’uso delle tecnologie che oggi forniscono moltissimi dati ma anche nelle capacità umane di leggerli, i dati, e di “capire” gli uomini che li producono”. Inoltre secondo il garante della Privacy sul tema terrorismo stiamo sottovalutando un campo strategico: la vulnerabilità dei nostri giganteschi sistemi informatici. “Le comunicazioni, i risparmi, gli ospedali, le banche dati oggi sono a rischio”, sottolinea Soro. Che poi chiude: “Sono problemi che si affrontano senza slogan”.