(Il Messaggero, 17 febbraio 2016)
Le linee guida sulla gestione delle intercettazioni, adottate dal Procuratore della Repubblica di Torino, intervengono sul terreno del rapporto tra diritti alla riservatezza e alla difesa, esigenze investigative e pubblicità dell’azione penale, con le implicazioni che ne derivano in tema di diritto di (e all)’informazione. L’equilibrio tra gli interessi in gioco dipende, anzitutto, dalla responsabilità con cui ciascuno degli attori coinvolti (magistrati, avvocati, giornalisti) interpreti il ruolo assegnatogli dalla legge.
Queste linee guida ne sono un esempio, fornendo Una lettura “costituzionalmente orientata” della disciplina vigente. Esse valorizzano l’udienza-stralcio e minimizzano l’impatto sulla privacy (delle parti e dei terzi), determinato da uno strumento prezioso ma anche assai invasivo, come quello delle intercettazioni, senza minimamente indebolirne l’efficacia.
Positiva, in particolare, è la richiesta, rivolta ai Pm, di adeguata selezione degli atti da inviare al gip a sostegno della richiesta di misura cautelare, eliminandole intercettazioni inutilizzabili, irrilevanti o comunque inerenti terzi estranei alle indagini e contenenti dati sensibili (purché non emergano elementi favorevoli all’indagato). Ne emerge anche un condivisibile auspicio, ove non vi ostino ragioni investigative, per l’attivazione della procedura di stralcio di tali intercettazioni, già prima dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari, anticipando così il momento di selezione del materiale probatorio per garantire maggiore riservatezza alle parti e, soprattutto, ai terzi.
Importante è anche l’indicazione, rivolta alla polizia giudiziaria, di non trascrivere nei brogliacci intercettazioni irrilevanti o inutilizzabili e contenenti dati sensibili, riportandone solo data e ora, per consentire alla parte che vi abbia interesse di richiederne eventualmente l’accesso (non la copia), nel pieno rispetto del diritto di difesa.
Tali indicazioni consentono di limitare in misura considerevole l’ingresso, nel fascicolo procedimentale, di dati personali non strettamente pertinenti al reato contestato, relativi a terzi o, comunque, dei quali si possa fare ameno senza per questo nuocere alle indagini. E si tratta di una soluzione che, pur coprendo tutte le fasi procedimentali in cui assumono rilievo le intercettazioni, dal brogliaccio all’acquisizione, rimette doverosamente la decisione definitiva al giudice, nel contraddittorio delle parti.
Le indicazioni di questa direttiva (come anche di quelle di Roma e Palermo) sono, peraltro, in linea con il criterio di delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni (all’esame del Senato), volto al rafforzamento delle garanzie di riservatezza, anche con la previsione di una “precisa scansione procedimentale per la selezione del materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento (…) e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale”.
Ovviamente molto potrebbe fare la legge per garantire la più puntuale selezione del materiale investigativo, assicurando, nel rispetto del diritto di difesa, che negli atti processuali non siano riportati interi spaccati di vita privata (delle parti ma soprattutto dei terzi), estranei al tema di prova. E tuttavia nessuna norma, di per sé sola, potrà mai garantire il migliore equilibrio tra i vari diritti in gioco, in assenza di un’etica e deontologia professionali capaci di tracciare il limite (non scolpito nella legge ma da ricercare di volta in volta, in concreto) oltre il quale il doveroso esercizio di una funzione essenziale quale quella informativa, magistratuale o difensiva, non può spingersi.
Su questo terreno si gioca una delle partite più importanti per la nostra democrazia: è necessario che ciascuno, per parte sua, vi fornisca il proprio contributo.