(Il Sole24Ore, 24 febbraio 2016)
Per quanto possa non stupire visti i precedenti ai danni di altri Paesi, la notizia delle intercettazioni effettuate dall’Nsa, con modalità ancora da chiarire, nei confronti dell’allora Presidente del Consiglio italiano, se confermata, sarebbe gravissima. Come gravissima è sin da subito apparsa la notizia delle intercettazioni effettuate dalla stessa Nsa, nei confronti di Angela Merkel o Nicolas Sarkozy. In gioco non vi è solo la riservatezza degli interlocutori, quanto piuttosto lo spionaggio politico, realizzato peraltro nei confronti di un Paese alleato.
Ma non meno grave sarebbe, se confermata, la notizia della massiva acquisizione di dati personali realizzata dalla stessa Nsa ai danni di comuni cittadini: 45 milioni di metadati in un solo mese tra il dicembre 2012 e il gennaio 2013. È, questo, un tema che torna oggi all’attenzione, con la stessa drammaticità, a meno di tre anni dalle prime rivelazioni di Snowden. Già all’epoca avevamo sollecitato il Presidente del Consiglio a svolgere una verifica puntuale sulla violazione della privacy dei cittadini italiani e la stessa Ue ha avviato un confronto con gli Usa, per chiarire meglio i contorni della vicenda. L’opposizione del segreto, da parte degli Stati Uniti, su molti degli aspetti centrali del Datagate ha, ovviamente, limitato la possibilità di accertare pienamente la verità, riproponendo quel conflitto tra segreto di Stato e diritti fondamentali oggi, sia pur in altre forme, all’attenzione della Corte europea dei diritti umani per il caso Abu Omar.
E tuttavia, che in nome della lotta al terrorismo si siano compiute, proprio in una democrazia consolidata come gli Usa, gravissime violazioni dei diritti fondamentali, è stato chiarito dalla stessa Commissione parlamentare occupatasi della vicenda. In quella sede si è anche riconosciuto che simili misure di controllo generalizzato sono non solo lesive dei diritti fondamentali ma anche inefficaci, determinando raccolte di dati così massive da risultare poi ingestibili e, quindi, del tutto inutili ai fini di analisi.
Le conclusioni della Commissione Feinstein hanno così agevolato la riforma dell’intelligence voluta da Obama, rafforzando (ma non per chi non sia cittadino americano) le garanzie rispetto all’azione investigativa.
Proprio per impedire ulteriori violazioni dei diritti dei cittadini europei, la Corte di giustizia ha di recente annullato l’accordo Safe Harbour, che legittimava il trasferimento di dati personali verso gli Usa, in ragione delle scarse garanzie che quell’ordinamento offre, sotto il profilo della protezione dati, ai non cittadini. Un primo accordo tra la Commissione e gli Usa ha segnato qualche progresso, ma il tema del diritto alla protezione dati rispetto ad attività d’intelligence così invasive resta. E la domanda di accertamento della verità non può restare inevasa. Per questo è necessario che il Governo anzitutto – e se del caso la magistratura – facciano piena chiarezza su questo punto, accertando non solo la posizione dei nostri Servizi, ma soprattutto quella degli organi d’intelligence stranieri.
E, per prevenire ulteriori violazioni, il diritto alla protezione dati va posto al centro dell’agenda politica, nella consapevolezza che su di esso si misura la qualità della democrazia e da esso dipende la nostra libertà. Sulla protezione dati non può valere il paradigma del nimby (not in my backyard), ovvero l’attenzione a tale diritto solo quando ci riguardi (come Paese, come individui) in prima persona. Come non può, questo diritto fondamentale, essere oggetto di un rispetto solo “presbite”, che porti a denunciarne le violazioni perpetrate altrove ma legittimi ogni sua compressione nei nostri confini, per mera convenienza politica. Pensando al paradosso francese della disciplina, in Costituzione, dell’emergenza e delle limitazioni dei diritti fondamentali che può legittimare, c’è da temere che proprio quell’Europa che ha rappresentato un modello verso cui tendere nel rapporto tra libertà e sicurezza, si allontani da se stessa. E da quei principi che ne fondano l’identità: la garanzia della privacy soprattutto, come libertà dal controllo e condizione di una democrazia pluralista e personalista.