Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Gigi Di Fiore, Il Mattino, 5 novembre 2016)
Da due anni vice presidente del gruppo di lavoro che riunisce le Autorità per la tutela della privacy nei Paesi dell’Unione europea, Antonello Soro è dal 2012 presidente dell’autorità garante per la protezione dei dati personali.
Presidente Soro, cosa pensa della decisione del tribunale di Napoli nord sull’obbligo di Facebook a rimuovere commenti e post su segnalazione di utenti danneggiati dalla pubblicazione?
“Mi sembra una decisione innovativa e importante. In qualche modo si mette in sintonia con lo spirito della legge in discussione in Parlamento”.
Quale è lo spirito a cui fa riferimento?
“L’esigenza di dare risposte tempestive in vicende delicate, come quella della povera ragazza che si è suicidata. Ci sono casi in cui l’immediatezza dell’intervento limita effetti devastanti di alcune pubblicazioni di notizie in Rete”.
I giudici hanno scritto che non esiste per i social network un obbligo di sorveglianza preventiva sui contenuti pubblicati. Cosa ne pensa?
“Mi sembra decisione ragionevole. Altrimenti si introdurrebbe una delega alla censura preventiva. Si tratta di piattaforme, che mettono a disposizione degli utenti uno spazio di pubblicazione. La responsabilità interviene solo su segnalazione di chi si sente danneggiato o offeso in qualche modo dai contenuti pubblicati”.
Con quale filosofia della Rete si scontrano le regole da introdurre per evitare le conseguenze dannose di alcune pubblicazioni?
“La difficoltà maggiore, assai diffusa tra la maggioranza degli utenti, riguarda l’idea che il mondo on line sia cosa diversa da quello offline. In parole povere, che quanto avviene in Rete sia altra cosa rispetto alla vita reale. E invece la realtà della Rete ha conseguenze dirette e spesso assai pesanti sulla vita di tutti i giorni”.
Si pensa che il mondo virtuale sia una specie di prateria, dove tutto è consentito con pochi rischi?
“È diffuso quest’atteggiamento. Gli utenti credono che possano fare tutto, coperti da una specie di anonimato. Il che non è. Bisogna far capire a tutti che in Rete si commettono reati esattamente come nella vita off line”.
Quindi da un giudizio positivo sulla decisione del Tribunale di Napoli nord?
“Sicuramente. Ricorda un caso che fu discusso dalle nostre Corti, relativo alla rimozione dal web, su ordine della polizia postale, di un video ritraente vessazioni in danno di un bambino disabile. Ora si fa un passo in avanti rispetto a un caso più difficile, perché relativo alla rimozione, su segnalazione dell’utente, di contenuti ritenuti lesivi dellla propria dignità”.
Dal punto di vista giuridico, cosa comportano le due decisioni giudiziarie?
“L’obbligo di rimozione non riguarda soltanto un contenuto “palesemente illecito”, la cui natura sia accertata giudizialmente, ma anche contenuti che, pur acquisiti lecitamente, ledano la dignità e i diritti altrui”.
I provider gestiscono molto potere?
“Gestiscono una quantità infinita di dati in tutto il mondo. Nelle loro mani finisce praticamente la vita personale della gente. Devono responsabilizzarsi sempre di più, capendo che la rimozione su segnalazione è necessaria e non significa censura o limitazione di libertà”.
Non è materia in cui gioca troppo l’arbitrio di chi gestisce gli hosting provider?
“Va proprio in questa direzione l’intesa siglata a maggio tra i social provider e la Commissione Ue. In quell’occasione, si delimitava la rimozione su richiesta per contenuti di istigazione all’odio. Un passo in avanti. Credo ci siano maturazioni positive in materia, da registrare”.
Quali sono?
“La responsabilizzazione maggiore dei social network e dei provider che li gestiscono sui contenuti che pubblicano. Poi, una tendenza a dare omogeneità alle regole e la coscienza che può far danni non solo un contenuto diffuso o acquisito in modo illegale, ma anche notizie carpite con metodi leciti”.
Il vero problema, nei casi simili a quelli di Tiziana, è l’intervento tempestivo per la rimozione dei dati in Rete?
“Sì, è la difficoltà principale. Le conseguenze di un ritardo possono diventare terribili. Più si perde tempo più aumentano le possibilità di moltiplicazione in Rete del dato da rimuovere. Ecco perché responsabilizzare i provider alle segnalazioni fondate degli utenti è passaggio molto importante”.
La legge che si discute in Parlamento va in questa direzione?
“Sì e c’è stata già l’approvazione alla Camera. Il testo è passato al Senato. Ma al di là delle regole del singolo Paese, va compreso che la Rete ha diffusione globale, che rendere omogenee le norme dei diversi Paesi diventa obiettivo cui tendere. Non è semplice, ma il nuovo regolamento Ue impone ai provider anche non europei il rispetto della nostra disciplina”.
I provider non si coprono spesso con le norme in vigore nei Paesi dove hanno sede legale?
“A volte, ma ora si riconosce che devono applicare le leggi dei Paesi dovesi diffondono i social. Le regole europee trovano riconoscimento anche in Paesi extraeuropei”.
Esiste un problema di educazione all’uso della Rete e dei social?
“Esiste ed è un problema da risolvere con un’educazione civica seria. Far capire che il linguaggio e ciò che si immette in Rete può provocare danni e sofferenze. Che la vita reale è strettamente collegata a quella virtuale. Occorrerebbero regole universali, mae un’utopia. Nell’immediato, c’è necessità di educare tutti all’uso corretto della Rete”.
Far capire anche che, quando si immette un dato in Rete, difficilmente può essere cancellato del tutto?
“Questo dipende dalla tempestività dell’intervento di rimozione. Di certo, occorre maggiore responsabilità nell’uso dei social da parte di tutti gli utenti”.
Gli utenti conoscono le tutele offerte dal Garante per la privacy?
“Bisogna educarli ancora su questo. La Rete ha bisogno di autorità di controllo e il garante ha questa funzione. Per poterlo fare ancora di più, ci sarebbe bisogno di una strutture ancora maggiore. Speriamo che, in Senato, si recepisca anche questa necessità”.