Informazione, pluralismo, identità

DC Sardegna, 01/03/1990

 

A metà febbraio si è svolto in Consiglio regionale il dibattito sui problemi dell’informazione. Un’occasione importante sollecitata dalla presentazione di cinque mozioni, fra le quali quella del Gruppo Democristiano. Largomento, data la sua grandissima attualità e le implicazioni che solleva, ci ha indotto a tornarvi sopra attraverso un numero speciale del nostro perìodico. Innanzi tutto per sottolineare se non altro che, al di là degli echi suscitati dalle polemiche in campo nazionale, esso riguarda assai da vicino anche la nostra regione, e forse assai più di quanto non possa sembrare.
E’ opportuno precisare subito che pur con le ovvie e comprensibili differenziazioni, è emersa in quel dibattito una sostanziale uniformità di analisi e di indicazione d’intenti.

La questione, d’altra parte, solleva due interrogativi di fondo di estremo interesse e significato. Quale funzione può e deve svolgere nella società la editoria giornalistica, o più in generale il sistema delle comunicazioni di massa? Quale il suo rapporto con i centri di potere – siano essi economici, istituzionali o politici in senso lato – e con l’opinione pubblica?

I due quesiti chiamano in causa problemi di grande rilievo. Entrano in gioco questioni quali il dualismo fra libertà dell’informazione e diritto di tutti ad una informazione il più possibile corretta ed obiettiva. Oppure quella concernente la pubblicità ed i suoi condizionamenti sulle linee editoriali degli organi di informazione in contrapposizione alla esigenza di pluralismo. Ancora, ma non ultimo, il rapporto editoria/affari/politica.

In linea di massima è stata corale la denuncia dei rischi derivanti da possibili situazioni oligopolistiche di fatto, nell’ambito del sistema delle comunicazioni di massa, per via del potenziale e pesante condizionamento che le posizioni dominanti possono determinare a tutti i livelli. Ciò può avvenire, com’è forse superfluo ricordare, attraverso un diretto controllo di diverse testate da parte di un unico gruppo editoriale, ma anche mediante il controllo dei flussi pubblicitari che per gli organi di informazione sono autentico ossigeno vitale.
Detto questo, e fatte tutte le analisi del caso, occorre però passare ai fatti, cioè alle azioni concrete, prima che la situazione si incrosti al punto da rendere velleitario ogni buon proposito.
L’impegno di una legge regionale per l’editoria non sarà più eludibile. E la modifica in senso regionalista della legge nazionale non è obiettivo impossibile.

A questo riguardo occorre dire con fermezza che sono necessarie regole chiare e certe che da un lato garantiscano e tutelino il diritto dei cittadini all’informazione, da un altro tutelino il pluralismo delle fonti di informazione, da ultimo rendano possibile l’economia di gestione dei giornali o delle reti radiotelevisive che in fin dei conti sono imprese economiche. Anche il mercato necessita di regole al di fuori delle quali cessa di essere “mercato” per trasformarsi in terra di conquista. E ciò a maggior ragione vale per lo speciale mercato della informazione. Il Consiglio regionale, ed il nostro Gruppo consiliare, ha indicato diverse di tali regole. Esse cercano di cogliere tre diversi aspetti del problema.

Il primo si riferisce ad un connotato del tutto specifico di questo “mercato”: esso non ha limiti geografici, meno che mai oggi nell’era del villaggio globale nel quale siamo tutti immersi. E ciò come sardi, ci interessa da vicino. La nostra Regione si trova all’avanguardia nel consumo di informazione. Un fatto estremamente positivo ed esaltante, ma che la espone ad un autentico bombardamento del sistema delle comunicazioni di massa. C’è spesso il rischio di perdere la propria soggettività. La Sardegna, allora, e tutte le regioni, devono riuscire a ritagliarsi un ruolo nel villaggio dell’informazione. Occorre tallonare da vicino gli organi statali per difendere le specificità geografiche e culturali.

Un secondo aspetto della questione è di tipo economico, riguarda il mercato nella sua accezione più stretta. Il rapporto fra gestione di impresa e informazione è particolarmente delicato e complesso, e sempre precario. La rottura del necessario equilibrio può avere conseguenze gravi. Anche qui, e forse soprattutto qui, occorrono regole del gioco chiare e precise. Posizioni di monopolio, o comunque dominanti, possono aprire la porta a pericolosi abusi: non basta affidarsi soltanto alla sensibilità e alla correttezza dei detentori ditali posizioni di forza.

Anche la Sardegna, al riguardo, è prima linea. fl panorama editoriale presenta un quasi rigido duopolio con una assoluta spartizione del mercato della carta stampata, dove peraltro una fetta di esso è condizionato da decisioni che maturano a Roma.
Per l’eminenza radiotelevisiva, poi, ad una posizione dominante privata fa da contrappeso un servizio pubblico inadeguato a soddisfare le reali esigenze di tutela delle specificità regionali.
Il resto dello scenario è rappresentato da piccole e piccolissime iniziative prive di grande rilievo e comunque fortemente condizionate nelle loro prospettive.
Servono anche in questo caso regole, e la Regione può e deve dire la sua, con iniziative legislative adeguate. Un terzo aspetto riguarda infine da vicino gli operatori dell’informazione, i giornalisti. Sono spesso impegnati in prima linea in difesa dell’autonomia delle redazioni. Ma troppe volte decisioni e linee editoriali passano sopra le loro stesse teste. Per far fronte a ciò si devono trovare strumenti efficaci. Un tentativo può essere quello di dar vita a “statuti di redazione” che stabiliscano un minimo di chiarezza dei ruoli fra editore, direttore e giornalisti. Può essere una strada da sperimentare. Anche se, al fondo, conta la libertà delle coscienze e la capacità di reazione di fronte ai conformisnii stimolati dal “padrone in redazione”.

Il Grande Vecchio di orwelliana memoria è per nostra fortuna lontano anni luce, ma una sua brutta fotocopia non è poi del tutto impossibile.

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