L’Unione Sarda, 01/10/1990
L’avvio della sessione di bilancio in Consiglio regionale e, insieme, l’imminente completamento dell’iter legislativo degli atti della programmazione, sollecitano una qualche riflessione in merito alle scelte che si dovranno operare. I bagliori di nuovi incendi nel comparto della Chimica e le preoccupazioni collegate alla manovra di risanamento finanziario proposte dal Governo non debbono impedirci di guardare al di là dell’emergenza.
Il dibattito di questi anni ha posto alcuni punti fermi sia per quanto riguarda l’analisi sia per quanto attiene alle prospettive.
Le considerazioni prevalenti individuano negli investimenti e nel saldo di bilancio commerciale le variabili maggiormente critiche. I primi infatti sono in costante declino ormai da oltre un decennio, mentre il secondo è in costante aumento. La limitatezza degli investimenti da un lato e il contestuale aumento delle importazioni tesa al soddisfacimento dei consumi regionali impediscono al sistema economico di potersi sviluppare in maniera virtuosa, come direbbero gli economisti. Su questo tipo di analisi sembrerebbe realizzarsi un vasto consenso. Altrettanto vasto il consenso appare quando si sviluppano valutazioni di prospettiva particolarmente sui connotati di carattere generale che lo sviluppo sardo dovrebbe avere in Sardegna. E cioè che debba essere autopropulsivo, equilibrato, diffuso nel territorio, integrato con l’ambiente, centrato su una forte ripresa industriale.
Certamente questi caratteri corrispondono alle necessità del sistema economico sardo: ma, per fare qualche passo avanti, bisognerà selezionare con più rigore gli obbiettivi che la politica economica della Regione deve aggredire in coerenza con le premesse di fondo.
E dovremo scrivere un’agenda delle priorità, sforzandoci di saldare emergenza e programmazione.
Io credo che prima di ogni altro si ponga l’obbiettivo di una ripresa della occupazione armonizzata con un incremento del tasso di accumulazione endogena che sappia produrre un allargamento della base produttiva della nostra Isola.
Può apparire ambizioso, ma non è impossibile.
E comunque su questo sfondo si disegnano l’itinerario della programmazione regionale e lo spazio per agire sui fattori della trasformazione e della crescita della nostra economia.
In questo contesto gioca un ruolo fondamentale la variabile esportazioni: perchè suscettibile di legare la crescita regionale all’andamento dei mercati internazionali, e insieme di conferirle caratteristiche durature. Diviene quindi irrinuciabile la proiezione della Sardegna nei mercati internazionali. Ma quali? Tutti i mercati? O andrebbero adottate azioni di penetrazione in quei contesti più compatibili con il sistema economico regionale? Comincia a diffondersi il convincimento che il mercato decisamente più rilevante per la Sardegna sia rappresentato dai Paesi dell’area mediterranea, particolarmente per la piccola e media imprenditoria. E’ peraltro evidente che la strategia di privilegiare alcune aree rispetto ad altre necessita di analisi puntuali e precise anche se l’attenzione deve essere rivolta oltreché ai vincoli istituzionali particolarmente consistenti con i Paesi della Comunità Economica Europea anche ai vincoli di mercato che non devono essere né trascurati né sottovalutati.
E bisogna definire con più chiarezza gli strumenti operativi con cui supportare l’impresa regionale affinché essa possa diventare competitiva rendendo conveniente l’investimento in Sardegna.
Appare chiaro che il salto del mercato, assieme a quello tecnologico, costituiscono le principali direttrici di marcia della politica economica regionale che andrebbe supportata sia con incentivi di carattere finanziario sia con incentivazioni reali, gli uni e gli altri ancora inadeguati e forse scarsamente differenziati.
Non nascondo la sensazione che l’insieme delle iniziative nel campo della ricerca scientifica in Sardegna, recentemente intensificata, si muova in un qualche disordine. La proliferazione di centri per l’erogazione di servizi reali in questi ultimi anni, al di là della costosa produzione convegnistica, appare finora scarsamente incisiva rispetto alla dinamica delle imprese, e certamente difetta molto di coordinazione.
Gli incentivi finanziari continuano a sollecitare in modo indiscriminato vecchi e nuovi settori, al di fuori di qualsivoglia selezione.
Per concludere penso che queste e altre valutazioni suggeriscano una politica di più puntuale modulazione dei fattori dello sviluppo sui quali abbiamo potere e competenza.
Il complesso degli atti di programmazione attualmente all’esame del Consiglio Regionale sono la giusta sede per tradurre esigenze e orientamenti in precise decisioni di governo.
Sarà bene non sprecare questa occasione.